Credo che una certa resistenza verso la figura del coach stia nella difficoltà nel capire davvero cosa vuol dire coaching. Il punto è che non esiste un solo modo di fare coaching perché il modo di usare questo strumento è unico per ciascuno.
Nel mio caso fare coaching significa stare negli spazi di transizione, quelli in cui nulla è certo e quindi tutto è possibile. Per farlo è necessario essere dinamica, flessibile, ma anche proiettata verso il risultato che desidero raggiungere con la persona che seguo. Per questo per il mio lavoro da coach dico che più che un tailleur mi servono delle sneakers.
Cosa fa un coach
Il coach è un navigatore, una persona cioè che sta seduta sul sedile del passeggero e che aiuta chi è al volante a raggiungere la sua destinazione. Questo significa anche aiutare a recuperare la strada nel caso in cui il guidatore si sia perso, avvertire quando l’ambiente circostante cambia e fornire prospettive diverse indicando segnali, punti di riferimento e scenari che il guidatore potrebbe perdersi. La destinazione di chi è al volante diventa anche quella del coach e per questo è necessario il dialogo, le domande e l’ascolto attento.
Quando ho deciso di diventare coach professionista
Ma come si arriva a destinazione? Dipende. Come dicevo prima, non c’è un solo modo di fare coaching. Io ho deciso di diventare coach certificata Gallup per l’approccio basato sui punti di forza e per la sua applicazione in ambito aziendale.
Lo strengths coaching si concentra, infatti, sui talenti delle persone e sulle aree di maggiore predisposizione, individuando un piano per potenziarle. Una strategia di sviluppo strengths-based ribalta la prospettiva, apre gli orizzonti e, soprattutto, permette di individuare ciò che una persona sa fare bene (e di cui magari non è consapevole) e di non focalizzarsi soltanto sulle lacune.
La differenza con lo strength coach (togli la “s” ma il succo non cambia)
La figura del coach sportivo – nello specifico quella dello strength and conditioning coach – mi ha aiutata a capire davvero cosa vuol dire coaching e a decidere che quello poteva essere il mio modo di affiancare persone e team.
Lo strength and conditioning coach in ambito sportivo è la persona che lavora a stretto contatto con l’allenatore di una squadra, effettua valutazioni, crea programmi efficaci e testa i giocatori per sviluppare abilità e migliorare la prestazione sportiva. In altre parole, si concentra sugli obiettivi dei singoli giocatori e di tutta la squadra. E questo è quello che faccio anche io nel mio lavoro di coach, concentrandomi sugli obiettivi di ogni persona che, a loro volta, generano effetti sui team di cui fanno parte e, di conseguenza, anche sull’intera azienda.
Perché fare coaching in azienda
Ho scelto di diventare una strengths coach proprio per la possibilità di lavorare sugli obiettivi individuali e il loro impatto sui gruppi di lavoro. Attraverso il team coaching in azienda, i membri di un gruppo diventano consapevoli dei loro reciproci punti di forza e si relazionano in modo più efficace, evitano potenziali conflitti e aumentano la coesione, il coinvolgimento e la produttività. Per un team manager entrare in contatto con i suoi talenti è utile per comprenderne l’impatto sulla squadra ma anche i fraintendimenti che possono creare. In questo caso, il mio compito come strengths coach è aiutare il manager ad agire in maniera diversa per migliorare le relazioni con i membri del suo team.
Diventare strengths coach: un rischio ma ne è valsa la pena
Quando ho deciso di certificarmi come strengths coach sapevo di correre un rischio. Non è una professione nota (siamo solo in 16 in tutta Italia), è facile che si pensi che abbia a che fare con gli atleti e non con persone e aziende, e il nome è anche difficile da pronunciare. Ma era così evidente la possibilità di contribuire a generare un cambiamento nella vita delle persone che ho pensato che ne valesse assolutamente la pena. E con questo articolo spero di aver stimolato anche in te la curiosità di scoprire la differenza che può portare nel tuo lavoro.
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